Il progetto Viaggio nell’Olio Sabina DOP nasce grazie al sostegno del Piano di Sviluppo Rurale del Lazio 2014-2020, misura 3.2, che ha permesso di avviare un progetto di promozione dell’olio Sabina DOP.
È opportuno raggruppare, quindi, i valori che sono, ad oggi, associati all’olio extravergine d’oliva SABINA DOP:
- QUALITÀ intesa come generico riconoscimento di caratteristiche migliori;
- ARTIGIANALITÀ / TRADIZIONE rimanda ad antichi sapori; evoca subito l’immagine del frantoio;
- GENUINITÀ garanzia di assenza di sofisticazioni alimentari;
- SPORTIVITÀ la sua alta digeribilità lo rende particolarmente adatto alla dieta di molti sportivi;
- SALUBRITÀ vari studi hanno comprovato la sua azione benefica nella prevenzione di alcuni tipi di tumori come, ad esempio, quello al colon;
- ETICA grazie alla rintracciabilità emerge la trasparenza della filiera e ciò rassicura sulla qualità del prodotto finale.
- RISPETTO del territorio e dell’ambiente di produzione attraverso tecniche a basso impatto ambientale.
La Sabina terra d’olivo e d’olio
La Sabina è una regione storica che deve il proprio nome a quello dei Sabini, popolo che vi si è insediato circa tremila anni or sono allontanandosi con un lungo cammino dai propri luoghi d’origine, probabilmente vicini alle pendici del Gran Sasso. Terra di antica tradizione agraria, la Sabina si estende oggi fra le provincie di Rieti e Roma come un lento susseguirsi di colline, corsi d’acqua, laghi, montagne boscose e campi coltivati, fra i quali sono incastonati borghi medievali, castelli, monasteri, resti di ville rustiche romane.
Circa duemila anni fa, in piena età Augustea, l’erudito greco Strabone la descriveva come una terra “straordinariamente ricca di ulivi”: oggi l’Olivo rappresenta in quest’area il vero elemento unificatore del paesaggio. Oltre due milioni e mezzo di alberi d’argento sono disseminati, quasi senza soluzione di continuità, per migliaia di ettari.
Si tratta di un contesto agro-ambientale finemente diversificato, modellato nel tempo da un intreccio strettissimo di modernità e tradizione, dove coesistono ancora l’una accanto all’altra l’olivicoltura specializzata e la più tradizionale coltura promiscua dell’olivo consociato alla vite o ad altre specie arboree da frutto, come pesco, susino, pero e ciliegio. Il risultato di millenni di attività agricola e cultura è qui un mosaico paesaggistico di rara bellezza, espressione tangibile dell’interazione di popoli differenti con una natura straordinaria.
La vocazione olivicola dell’area si fonda dunque su una tradizione antichissima, ma anche su solide basi pedoclimatiche: terreni prevalentemente calcarei e ben drenati, ampia presenza di rilievi collinari con versanti favorevolmente esposti e caratterizzati da quote mediamente comprese fra i 150 e i 500 metri, clima mediterraneo temperato, senza picchi estremi di temperatura e con aridità limitata di norma al solo pe- riodo estivo.
Numerose testimonianze storiche, archeologiche, iconografiche e documentali confermano che la coltivazione dell’olivo in Sabina ha radici molto lontane nel tempo. conferiscono la sua identità peculiare all’olio a Denomina- zione di Origine Protetta della Sabina, sono la Carboncella, cultivar autoctona di antica origine, la Salviana o Fecciara, la Raja, l’Olivago, l’Olivastrone, il Frantoio, la Rosciola e altre varietà a maggiore diffusione nazionale come Leccino, Moraiolo e Pendolino.
In un contesto olivicolo così eterogeneo, la diversità, oltre che in termini di paesaggio, tecniche colturali, ecotipi e genotipi, si esprime anche in termini di epoca d’impianto, dando origine ad una mescolanza colturale dove oli- veti più giovani sono quasi ovunque affiancati da sparsi esemplari o da interi appezzamenti di olivi secolari, spesso in piena produzione, che arricchiscono il territorio di un enorme valore storico culturale.
Questi splendidi alberi testimoniano con la loro sopravvivenza la grande rusticità e la plasticità dell’olivo, capace di adattarsi alle condizioni pedologiche più disparate, di tollerare pesanti interventi colturali, di sopravvivere ai patogeni, di rigenerarsi con ostinato vigore anche dopo eventi climatici estremi, come le forti gelate che hanno investito la Sabina, con cadenza circa trentennale, dal 1700 ad oggi.
Monumenti viventi alla natura ed all’uomo, gli antichi olivi che crescono in queste terre sono testimoni del duro lavoro svolto da generazioni di agricoltori, che stagione dopo stagione li hanno custoditi, hanno lavorato il terreno, li hanno concimati, ne hanno modellato le chiome e curato i fusti, conservandone così intatta la forza, la bellezza e la produttività. È importante ricordare che l’olivo cresce in natura con la forma di un cespuglio, un arbusto dalla chioma globosa provvisto di numerosi fusti e che soltanto la cura sapiente e la pazienza infinita degli uomini lo trasformano in un albero e tale lo fanno restare, mediante potature e ripuliture da svolgersi ripetutamente, anno dopo anno.
Le centinaia di migliaia di olivi storici della Sabina, alberi pluricentenari, a volte millenari, si caratterizzano infatti per uno sviluppo in altezza molto contenuto proprio a causa delle specifiche tecniche di allevamento adottate nel corso dei secoli.
Questa loro peculiarità, oltre a renderli pressoché unici, consente oggi come in passato di effettuare agevolmente la raccolta delle olive direttamente dall’albero quando sono sane ed al giusto grado di maturazione, anziché aspettare che cadano a terra stramature, e testimonia dunque quale spiccata attenzione per la qualità dell’olio abbiano da tempi immemori gli abitanti di queste terre.
Non a caso, in merito alla raccolta delle olive direttamente dai rami, è stato proprio un agronomo sabino - il reatino Marco Terenzio Varrone (I sec. a.C.) - ad aver fornito fra i primi, nella sua opera De Agricoltura, prescrizioni estrema- mente dettagliate e tutt’ora valide come linee guida per produrre olio di qualità e tutelare al tempo stesso la capacità produttiva degli alberi: “Quell’oliva che tu puoi, stando in piedi, o per mezzo di scale, toccare colle mani, bisogna piuttosto raccoglierla col la mano, che abbacchiarla; perché quella che si batte, si smagrisce e non dà molto olio. Raccogliendola colla mano, sarà meglio coglierla col le dita nude, che colle dita fornite di ditali; imperciocché la durezza di questi non solo stringe di troppo la bacca, ma scorza ancora i rami, e li lascia esposti al ghiaccio. Que’rami che non si potranno toccare colle mani, si dovranno piuttosto battere con canne, che ferire con le pertiche; perché una ferita considerabile non può far di meno di medico. Chi batterà gli olivi, guardisi dal batterli a rovescio, perché sovente abbacchiandosi in tal modo l’oliva, seco strascina anche dei ramoscelli; dal che ne nasce la sterilità ne’ vegnenti anni.”
Ancora prima di Varrone, un altro erudito di epoca ro- mana, Marco Porcio Catone il Vecchio (234 a.C. - 184 a.C.), aveva già appreso proprio in Sabina i segreti per produrre olio di qualità.
Durante la giovinezza, egli aveva infatti lungamente soggiornato in una villa rustica nell’area, acquisendo una tale competenza in materia da dettare poi nei suoi scritti minuziose norme sull’organizzazione generale di un olive- to, sulla manodopera, sulla riproduzione degli olivi, sulla potatura, sulla raccolta, sul frantoio, sulla conservazione dell’olio: a lui dobbiamo di fatto la redazione un vero e proprio antesignano dei “disciplinari di produzione” che regolamentano oggi le produzioni olear olearie a denominazione di origine
Da questa antichissima alleanza fra l’Uomo e l’Olivo, da questa commistione di pratiche empiriche e di scienza, di passione e di cultura, si è evoluta in Sabina una tradizione olivicola di prim’ordine, che di quest’area ha fatto da tempi immemori il principale bacino di approvvigionamento oleario di Roma, fino ad ottenere - prima in Italia - il riconoscimento europeo della Denominazione di Origine Protetta per l’olio prodotto secondo precise norme all’interno di un areale produttivo di quarantasei comuni, dettagliatamente descritto dal Disciplinare di Produzione dell’olio Sabina D.O.P.